Il film è ambientato verso la fine degli anni Trenta in Toscana, dove due giovani lasciano la campagna per trasferirsi in città, ad Arezzo. Guido, interpretato da Benigni vuole aprire una libreria nel centro storico, l’altro Ferruccio, Sergio fa il tappezziere, ma si diletta a scrivere versi comici e irriverenti. In attesa di realizzare le loro speranze, il primo trova lavoro come cameriere al Grand Hotel dello zio Eliseo e il secondo si arrangia come commesso in un negozio di stoffe. Appena arriva ad Arezzo, in una campagna, Guido incontra casualmente una giovane maestra, Dora. I due si sposano e ebbero un figlio. Imposte le leggi razziali, arriva la guerra. Guido, di religione ebraica, viene deportato insieme al figlio e allo zio. Dora decide volontariamente di seguire la propria famiglia nel lager pur sapendo a cosa andasse incontro. Nel campo di concentramento, per tenere il figlio al riparo dai crimini che vengono perpetrati, Guido fa credere al bambino che quel “viaggio” era il regalo per il suo compleanno, gli fa credere inoltre che si trattava di un gioco a punti, in cui bisognava superare delle prove per vincere un carro armato vero . Così va avanti, fino al giorno in cui Guido viene allontanato ed eliminato. Ma la guerra nel frattempo è finita, il figlio esce dal lager su di un carro armato americano, come un vero vincitore. Ciò che gli aveva promesso il padre si era realizzato, incontra la madre e le va incontro contento, gridando «Abbiamo vinto!». Il film si può dividere in due parte distinte: la prima impostata sui canoni della commedia tipica di Benigni, ambientata in una tranquilla cittadina della Toscana, ad Arezzo, negli anni ’30. La seconda, di stampo drammatico, si svolge interamente all’interno di un lager nazista. Benigni, regista del film, ha voluto riportare il dolore di milioni di ebrei la cui vita è stata sconvolta e distrutta dal razzismo e dalle sue assurde e malate leggi razziali, e lo fa portando la vita e l’ironia anche dove altro non c’era che corpi privati della anima e della vita. Prima la felicità, il sorriso, l’allegria, poi ricerca di un significato a quell’orrore, a quella crudeltà, fatto tutto col fine della vittoria dell’innocenza. Guardando il film superficialmente lo si potrebbe criticare negativamente in quanto, sotto alcuni aspetti, è in contrasto con la storia, ma il vero intento di Benigni non è quello di mettere in scena un documentario, ma quello di portare il sorriso, anche se carico di preoccupazione e paura, laddove regnavano la crudeltà e il male . È questo uno degli aspetti caratteristici del film. Guido anche mentre viene scortato per essere ucciso, non rinuncia a regalare l’ultimo sorriso al figlio, i cui occhi intravede dietro la grata di un vecchio nascondiglio in cui aveva trovato riparo il piccolo. Guido sa di andare incontro alla morte, eppure non esita di strizzare l’occhio al figlio, in segno di complicità per un “gioco” nel quale bisognava escogitarle tutte pur di riuscire a sopravvivere e uscirne vittoriosi.
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